Il Parco Nazionale della Sila, tra le province di Cosenza, Catanzaro e Crotone, una zona unica in Calabria, dove gli amanti della natura si trovano a diretto contatto con animali tipici della penisola: il lupo silano, il cervo, il capriolo, il cinghiale, la volpe, la faina, la puzzola, la biscia dal collare, il biacco e tante altre specie. Il Parco Nazionale della Sila, che si trova al centro del territorio della Sila, è stato fondato nel 1997 e presenta una superficie boschiva abbastanza estesa, costituita principalmente dal tipico pino autoctono, il Laricio. Tra gli animali, è possibile osservare lontre, ghiri, tassi, cervi, caprioli e alcune specie protette, come il lupo appenninico (che è anche il simbolo del Parco) e il gatto selvatico. Tra i centri storici che ricadono nell’area del parco, si segnala San Giovanni in Fiore, in cui è possibile visitare l’Abbazia Florense, il Convento dei Padri Cappuccini e svariati palazzi nobiliari.
Il Parco Nazionale del Pollino, invece, è il parco naturale più grande d’Italia. Situato alle pendici del Massiccio del Pollino, il parco di estende tra le città di Potenza, Matera e Cosenza e fu istituito nel 1988; esso presenta una flora variegata (tra cui il pino nero, l’abete bianco e la fioritura di orchidee in primavera) e una fauna altresì numerosa, con le specie di gufo reale, nibbio reale e aquila reale, oltre alla specie autoctona di capriolo di Orsomarso; tra gli animali reintrodotti, si segnalano il grifone e il cervo. Il parco offre la possibilità di praticare svariati sport alpini e sport estremi, tra cui trekking, rafting e sci di fondo.
L’Isola di Capo Rizzuto è la destinazione perfetta per gli amanti del mare: si trova in provincia di Crotone, a circa 100 metri di altitudine e conta poco più di 8000 abitanti. È caratterizzata per le sue spiagge lunghissime, il suo mare blu (ha più volte avuto la bandiera blu di Legambiente) e per la sua vita notturna sfrenata, ricca di divertimento, che metterà d’accordo tutti i vacanzieri, sia quelli amanti del relax che gli amanti del divertimento.
La Calabria è una terra ricca di luoghi da esplorare e di cui restare estasiati. Nei dintorni del Camping Mare Azzurro potrete visitare le cittadine di Isola di Capo Rizzuto o Le Castella ricche di storia e di bei panorami. Le città di Crotone e Catanzaro meritano sicuramente più di una visita. Anche le cittadine di Borgia e Taverna hanno un proprio fascino che vi incanterà. Una gita in Sila resterà sicuramente nei vostri ricordi come qualcosa di unico e non potrete fare a meno di ritornarvi.
Qui di seguito abbiamo riportato i link ai siti di alcune attrazioni in Calabria.
CAPOCOLONNA
CapocolonnaNel VI sec. a.C su questo promontorio sorgeva il Tempio de Hera Lacinia di cui rimane a testimonianza una parte del basamento (stilobate ) sul quale si erge l’unica colonna rimasta delle 48 che componevano originariamente il tempio, alta 8 metri . Di stile dorico periptero, esastilo, era circondato da un recinto sacro (peribolos) munito di una grande porta monumentale e di torri di difesa. Il tempio era uno dei massimi santuari del periodo e meta di pellegrini che giungevano al Capo Lacinio da tutto il mondo greco. Vi si trovavano le statue dei più famosi olimpionici, pitture di Zeusi, are votive ed un ricchissimo tesoro che fu trafugato dai siracusani quando occuparono la città. Nel 173 a.C. Fulvio Flacco per ricoprire il tempio della Fortuna a Roma, lo spogliò delle sue tegole di marmo che, successivamnte vennero restituite dietro le proteste del senato crotoniate. Il tempio fu poi fatto demolire dal vescovo Antonio Lucifero (1508-1521) per utilizzare il materiale nella costruzione del nuovo episcopio. Delle due uniche colonne che sfuggirono allo scempio una cadde in seguito al terremoto del 1638. Sono visibili poi altre tracce dell’antico santuario come la via sacra, le botteghe, le mura di cinta greche, le case dei sacerdoti e ruderi di edifici romani. Delle opere che erano nel tempio rimangono decorazioni e bronzetti e parte dei doni preziosi per la dea tra i quali spicca il famoso diadema, custodito a Palazzo Morelli nel Centro storico di Crotone, costituito da una fascia in lamina d’oro con decorazione a treccia su cui poggiano serti a forma di ramoscelli di mirto.
LE CASTELLA
Quando si vuol descrivere una località, ci si deve chiedere: “Cos’ha questo luogo più di altri, magari anche più rinomati?”. Nel caso di Le Castella, la risposta è semplice: oltre ad essere un’area che, come in uno scrigno, racchiude grandi valori paesistici e culturali, rendendola una delle più autentiche ed affascinanti che la Calabria possa vantare, in nessun altro luogo è possibile sentire, come qui, il respiro della storia. A caratterizzare la località, una sorta di piccola isola, posta a poco più di cento metri dalla riva, che ospita un castello, eretto presumibilmente nel XIII secolo e che nel cinquecento, ha subito un’ampia ristrutturazione. Questa struttura faceva parte dall’apparato difensivo, che ebbe un ruolo fondamentale durante l’invasione turca in Calabria, costituito da un sistema di fortificazioni: da qui il nome Le Castella. Protesa sulle acque limpide, nelle lievi increspature del mare è possibile leggere la storia del suo passato. Mille leggende fioriscono sul luogo: questo lembo di terra, infatti, è ancora capace di offrire memorie e storie che affondano le loro radici in echi del passato riportando alla mente visioni di scimitarre, spade e lance che scintillano al sole. Questa atmosfera particolare non è sfuggita al regista Mario Monicelli, che vi ha girato il film “Brancaleone alle crociate”, che ha contribuito a far conoscere quello che è divenuto uno dei simboli turistici più conosciuti della Calabria. Così, arrivando nei pressi del castello e scrutando il mare, sembra di rivivere queste avventure, che paiono svolgersi proprio sulla linea dell’orizzonte dell’immaginazione. In questo mondo, narrato ancora oggi dai vecchi marinai, intenti a rammendare le loro reti ed i ricordi, si incontrano storie strane, misteriose, che hanno come scenario il mare. Quel mare con le sue ombre e i riflessi solari, contribuisce ad animare liriche di poeti ed immaginifici racconti, facendo loro assumere forme e sembianze umane. Vi si può incontrare, ad esempio, Occhialì (o per taluni Uccialì) giovinetto del luogo che, rapito dai turchi come schiavo, è finito col diventare il capo della marineria ottomana. Pervasi da questa atmosfera, sembra quasi che la sua statua, posta in ricordo nella piazzetta di Le Castella, si animi e accompagni il visitatore a scrutare l’orizzonte ed a condurlo verso nuove avventure da solcare. Oppure, nelle giornate terse di rumori, sembra quasi di sentire il rintocco delle campane rubate dai turchi ed inghiottite dal mare. Tutte queste sensazioni provoca un soggiorno a Le Castella, che appare un paese fuori dal tempo, un’antica striscia di terra adagiata sul mare, memore di antiche culture e custode di mille tradizioni. Se, poi, ci si porta anche il bagaglio della fantasia, si può udire il mare raccontare ancora mille altri racconti, di questa terra che forse più di ogni altra è riuscita a mantenere nel tempo un invidiabile equilibrio tra natura, storia e cultura. Non c’è solo il castello da ammirare, ma anche un entroterra altrettanto spettacolare. Inoltre esiste anche una riserva marina, che nell’offrire bellissimi spettacoli naturali, preserva l’ambiente della zona. Ad inebriare sono anche i profumi e i sapori, quelli del mare pescoso e della vite locale, frutto della sapienza e maestria di abili mani. Questa è una terra in cui sono confluite mille etnie, dove gli aspetti antichi convivono con quelli della modernità, così, ad un tiro di schioppo dal Castello, ecco sorgere l’Aeroporto S. Anna, che renderà più agevole l’arrivo dei visitatori. Questo è il luogo adatto per chi viaggiando è alla scoperta di suggestivi angoli capaci di arricchire il proprio archivio delle conoscenze e delle emozioni; tali virtù rendono questa terra più attraente di altri lidi, belli ma senza anima. Le Castella non mancherà di stupire anche chi già conosce altre località marine, soprattutto ma non solo per la splendida coreografia del suo castello che sembra sorgere dalle acque, come un balcone segreto tra il cielo ed il mare. Buon Viaggio.
CROTONE: LA CITTA’ GRECA E LA COLONIA ROMANA
Tralasciando i numerosi miti che fanno intervenire nella sua fondazione Eracle o legati ai nostoi degli eroi greci da Troia, la prima data storica della sua fondazione è il 709-8 e tutti gli storici sono concordi ad attribuirla ai coloni Achei, tramandando anche il nome del suo ecista, Miskellos da Rhipe. Si narra che questi, eseguendo malvolentieri l’oracolo di Delfi, fondasse Crotone alla foce del fiume Esaro. Effettivamente in vari punti della città, compresi in una vasta area, compare materiale già alla fine dell’VIII secolo a.C., quindi fin dal momento della fondazione. Nel territorio le presenze greche più antiche si riferiscono a luoghi di culto. La zona di influenza di Crotone si estende progressivamente a nord fino al fiume Traente, fondando lungo la costa città satelliti; ad Ovest fino al Tirreno, a sud fino al fiume Sagra, odierno Allaro, sulle cui rive nel 543-45, l’esercito crotoniate, in guerra contro la piccola e meno potente Locri, fu umiliata da una grave disfatta. Il periodo di maggiore splendore, come attestano anche i numerosi ritrovamenti, è il V sec.a.C., epoca in cui risalgono il famosissimo Heraion a Capocolonna. La città greca era molto più estesa dell’attuale ed aveva una cinta muraria di dodici miglia romane. Elemento caratterizzante, riportato da tutte le fonti antiche, è la salubrità del territorio, diventata proverbiale e motivo del vigore fisico e atletico dei suoi abitanti. Tra il VI e il V secolo Crotone fu sede di una famosissima scuola medica a cui si formarono Democede e Alcmeone, elemento, questo, che certamente influì a suo favore, nella scelta compiuta da Pitagora, che la elesse propria patria e ove istituì una scuola filosofica scientifica. In seguito Atene , per contrastare la potenza di Crotone si inserì con profitto nella guerra contro Siracusa, che si concluse con il passaggio di Dionisio il Vecchio. Nel corso del III° sec. a.C. la potenza di Crotone sarà fiaccata ulteriormente fiaccata dalla pressione delle popolazioni bruzie che popolavano le aree montane. Di questa rivalità tra i greci delle città costiere, e le popolazioni indigene dell’interno, approfitterà Roma, che insedierà nel 285 a.C. un corpo militare nel Bruzio. Con il passaggio di Pirro e ulteriore disfatta (280\278 a.c.) la città greca si avvia ad irrimediabile declino. Una colonia romana, facente parte della provincia lucano-bruzia, vi viene costituita nel 194 a.C. e ha lasciato ampie tracce a Capocolonna, nei pressi dell’edificio sacro (terme, resti di fornaci, tratti di muro ad opus reticulatum, reperti subacquei marmorei). Cominciano le spoliazioni ai resti della città greca. L’abitato si contrae e perde sempre più importanza, tanto che nel I sec. d.C., Petronio riconoscerà a stento Crotone “urbem antiquissima ed aliquando Italiae primam”
IL MEDIOEVO
In periodo bizantino Crotone diventa povera per le continue scorrerie barbariche. Devota al governo bizantino, che la governa fino al 1054, cade più volte nel potere dei Goti (533; 542; 547), Oltre alle orde che la assalgono per terra, cominciano le incursioni saracene, che al largo di Crotone sconfiggono le flotte bizantine e veneziane alleate (845). Nel 931 i saraceni prendono la città, fanno ricostruire le sue mura e vi mantengono per molti anni una grossa flotta. Con la conquista normanna, a metà del sec.XI, ha inizio nell’ Italia meridionale, che aveva goduto fino a quel tempo una relativa autonomia, un sistema politico-economico di tipo feudale. Crotone è occupata nel 1054 da Roberto il Guiscardo, che fa fortificare il suo castello, lo stesso fece in seguito Federico II . Il castello viene rielaborato a pianta pentagonale, e munito di cinque torrette circolari; forma che nella simbologia esoterica, cara al sovrano, rappresenta la figura umana. Sotto il dominio Svevo, la città di Crotone acquista prosperità .La fedeltà agli Svevi causa alla città penalizzazioni da parte di re Carlo d’Angiò. Viene riconquistata da Blasco d’Aragona, ma due anni dopo, ritorna agli Angioini, che rafforzano le difese del castello. Crotone ritorna ai Ruffo. Da questa data, seppure con alterne vicende, ebbe inizio l’attribuzione all’ampio territorio crotoniate del nome di Marchesato (titolo attribuito a Nicolò Ruffo ) che tuttora conserva.
STORIA VICEREGNALE
Quando il regno meridionale passa sotto il re di Spagna, Ferdinando II d’Aragona, ha inizio l’età del Viceregno (1501) che durerà per oltre due secoli. Nel 1541, essendo vicerè Don Pedro da Toledo, hanno inizio i lavori di fortificazione di Crotone, col rifacimento della cinta muraria e di parte del castello. La città che agli inizi del cinquecento aveva visto i grandi lavori di ricostruzione della cattedrale, diventa centro di raccolta per la manodopera del comprensorio, attirata dalla possibilità di lavoro. Gli ancora grandiosi resti della città greca vengono saccheggiati per reperire la pietra di costruzione ed anche l’Heraion viene progressivamente privato delle sue parti fino a lasciare solo due colonne, una delle quali, cade nel terremoto del 1638. Durante i tumulti della plebe del 1647, la città si conserva fedele alla corona. Agli inizi del Settecento, per la guerra di devoluzione spagnola, subentrano a governare la città gli austriaci, che vi tengono un numeroso contingente armato, e vi compiono molti sopprusi fino al 1734.
STORIA BORBONICA
Alla fine del settecento , attraverso un ceto nobiliare illuminato, vengono portate le idee giacobine di libertà ed uguaglianza diffuse dalla rivoluzione francese. Nel 1799, sull’eco di quanto era accaduto a Napoli, anche a Crotone, la cittadinanza, capeggiata dal Vescovo e da tre nobili e dal capitano del Castello, si impadronisce del potere ed innalza l’albero della libertà al posto del seggio dei nobili. Ma la feroce repressione operata dalle truppe sanfediste del cardinale Ruffo ebbe ragione dell’accanita resistenza della città, con grave saccheggio. Molti altri furono incarcerati e le loro famiglie private dei beni. Nel 1808 la città viene conquistata dai francesi che la detengono fino al 1815. In periodo borbonico la città è meta impotente della sfortunata spedizione dei fratelli Bandiera, che sui trascorsi libertari della sua popolazione, contavano per suscitare un’insurrezione che si estendesse a tutta la Calabria. Nel 1860, Crotone, seppure emarginata dai piani tattici di Garibaldi, si impossessa del presidio militare borbonico ed aderisce alla sottoscrizione per finanziare la spedizione con ben 40.000 ducati.
PERIODO POST-UNITARIO
Dopo l’unità d’Italia la città vive una profonda trasformazione e nascono i presupposti per il suo sviluppo futuro. Vengono realizzate importanti infrastrutture: allacciamento alla rete ferroviaria; realizzazione dell’acquedotto; il porto; vengono abbattute la porta della città e parte delle mura; i bastioni rimanenti sono venduti a privati, che vi costruiscono sopra le loro dimore; ha inizio l’espansione urbana fuori dal circuito murario; vengono istituite le scuole elementari e tecniche. Da questo periodo, anche per le opere di bonifica e le nuove cure contro la malaria, la popolazione cresce dai 9mila della fine dell’ Ottocento ai sessantamila degli anni Sessanta. Agli inizi di questo secolo, l’energia a basso costo delle centrali silane, agevola l’impianto di grossi complessi industriali, che diventano causa di forte urbanesimo. Nella difficile ricostruzione del dopoguerra, Crotone, pur con tante carenze, ha acquistato una fisionomia cittadina, che la pone come quarta città in Calabria per popolazione e qualità di vita.
LA SCUOLA PITAGORICA
Alla base della dottrina pitagorica era la polimathia,( multiscienza) infatti la scuola oltre a fornire un modello di vita, impostò un metodo scientifico nello studio delle matematiche, dell’astronomia, della musica. Pitagora tentò a Crotone, per la durata di un ventennio un singolare esperimento di governo tecnocratico, il cui principio selettivo era basato su intelligenza e virtù. Crotone aveva un governo oligarchico, retto da un consiglio dei Mille, al di sopra del quale Pitagora istituì un Consiglio dei Trecento, formato da elementi scelti fra i soli iniziati pitagorici. E’ proprio grazie allo spirito spartano e all’efficace organizzazione del governo cittadino, Crotone pervenne alla conquista di Sibari e dei suoi opulenti territori, con la battaglia del Trionto, nel 510 a.C. Dissensi sulla spartizione delle terre conquistate, fomentati dal nobile Cilone, che odiava i Pitagorici, per non essere stato ammesso alla loro scuola, suscitarono lotte civili, che si protrassero per molti anni e sfociarono nella cacciata dei Pitagorici .
SANTA SEVERINA
Sorge su una rupe rocciosa a 326 metri sul livello del mare, ergendosi al centro della valle del fiume Neto. Per la sua particolare collocazione è detta la “nave di pietra”. S. Severina fu fondata verosimilmente dagli Enotri, popolo italico che abitava la zona prima della colonizzazione dei Greci. L’antico nome del paese era Siberene. Del periodo greco – romano non si hanno numerose notizie e resti monumentali. Al periodo romano si attribuisce il mutamento del nome da Siberene a Severiana. Con l’avvento dei Bizantini (che diedero alla città l’attuale nome), Santa Severina diventa un centro religioso molto importante. Infatti, fu sede episcopale Metropolitana, dipendente direttamente da Bisanzio. Santa Severina diede i natali a papa Zaccaria (pontefice dal 741 al 752). La dominazione bizantina si potrasse fino al 1073 – 1074 (salvo una breve occupazione degli Arabi dall’ 840 all’886). Intorno al 1075 – 1076, Roberto il Guiscardo guidò i Normanni alla conquista della città. Anche in epoca normanna notevole è l’importanza di Santa Severina quale centro culturale e religioso. La città fu poi governata dagli Svevi, dagli Angioni e dagli Aragonesi. Passò poi nelle mani di potenti feudatari quali i Carafa, i Ruffo e i Grutter. Nella storia recente, di notevole importanza è stata la riforma agraria del 1950, che ha cambiato l’assetto sociale del paese. Oggi, grazie al suo notevole patrimonio artistico, Santa Severina costituisce uno dei poli turistici calabresi più interessanti. Il Castello domina con la sua imponente mole la splendida piazza di Santa Severina. E’ composto da un mastio quadrato con quattro torri cilindriche poste agli angoli ed è fiancheggiato da quattro bastioni sporgenti in corrispondenza delle torri. La costruzione del Castello di Santa Severina è attribuita a Roberto il Guiscardo (sec. XI), il quale però intervenne su una preesistente fortificazione bizantina. Nel ‘500 il Castello subì una notevole ristrutturazione ad opera di Andrea Carafa e dei suoi discendenti. Ulteriori modifiche avvennero nel corso dei secoli successivi. Una lunga operazione di restauro (conclusasi nel 1998) ha riportato alla luce l’originaria sistemazione del monumento. Notevoli sono stati i ritrovamenti archeologici durante le operazioni di restauro: necropoli, affreschi, silos, fornaci, cisterne, monete, utensili.
LA SILA
Questo altopiano, esteso all’incirca 1700 chilometri quadrati escluse la falde, occupa la parte centrale della Calabria. Ha forma di immenso cratere, circondato com’é da una corona di vette. La Sila, di sviluppo piuttosto pianeggiante, con altitudine tra i 1200 e i 1400 metri sul mare, é punteggiata da rilievi considerevoli, i più importanti dei quali sono Botte Donato (1929), Montenero (1881), Serra d’Acquafredda (1814). Ricchissima d’acque, ha i suoi fiumi principali nel Neto, nel Tacina, nel Crati, nel Trionto, nel Mucone, nell’Arvo, nell’Ampollino, nel Savuto. Come suddivisione territoriale si è soliti distinguere l’altopiano in Sila Grande, ricadente nella provincia di Cosenza , e Sila Piccola, ricadente in massima parte nella provincia di Catanzaro; della Sila Grande fa anche parte la Sila Greca, così detta perché di influenza delle popolazioni greco-albanesi rifugiatesi in Calabria alla fine del ‘400. Geologicamente, la Sila é costituita da rocce silico-cristalline scistose e da graniti e dioriti. Circa l’età dell’altopiano, recenti studi, la fanno ascendere al Permico della Paleozoica. Ma queste notizie e questi dati, anche se strettamente necessari per presentare la regione silana, non parlano della sua bellezza, fatta di contrasti vivissimi eppure così ben fusi tra di loro da renderla, come é stato detto con riuscita espressione giornalistica, “la più felice sintesi dell’austera bellezza d’un paesaggio nordico e del caldo fascino delle terre del Sud”.
Storia dell’Altopiano: La Sila fu ben conosciuta anche nei tempi passati: ne scrissero Virgilio: “pascitur in magna Sila formosa iovenca”, Tucidide, Plinio, Strabone. Cassiodoro ne vantava l’ampiezza dei boschi. Al tempo della repubblica di Roma era possedimento dei Bruzi che l’avevano tolta ai colonizzatori venuti dalla Grecia e vi esercitavano una sovranità di nome, essendosi installati ai suoi margini ove svolgevano attività di pastorizia, di raccolta della pece e di sfruttamento dei boschi senza mai avventurarsi nel suo interno. Cicerone, parlando degli oratori antichi, conferma che la Sila era di proprietà del popolo bruzio e che questo popolo, dopo che i romani occuparono tutte le regioni italiche, pagava alla repubblica il vettigale della pace, anche se, spesso in occasione della riscossione del tributo, avvenivano liti e stragi tra gli esattori della gabella e gli abitanti delle giogaie silane. Tutti gli altri storici che ci hanno lasciato testimonianze sulla Sila hanno messo in evidenza la magnificenza e l’impenetrabilità dei suoi boschi, l’opulenza dei pascoli, il carattere fiero dei suoi abitanti. Comunque, i Bruzi tentarono di liberarsi dal giogo romano e si allearono ad Annibale. Alla sua sconfitta, metà del territorio della Sila passò sotto la gestione diretta dei romani che incominciarono a sfruttarne le risorse boschive, richiedendo la loro nascente industria navale notevoli quantitativi di legno di pino. Venne anche costruita la via Popilia che giungeva fino a Cosenza. Ma neppure quest’opera, come il precedente secolare avvicendarsi di popoli e di vita che si era svolto alle pendici della Sila riuscì a popolare l’interno dell’altopiano che continuò a custodire i suoi silenzi, il suo fascino velato di mistero. Solo molto dopo l’età romana si incominciò ad avere una graduale penetrazione nella foresta. Non sottoposta ad alcun regime fondiario centrale, la Sila poteva considerarsi terra di nessuno, tradizionalmente famosa ed ignota al medesimo tempo. Per primi toccò agli asceti di frequentarla. San Francesco da Paola, San Demetrio, San Nilo, San Bernardo di Chiaravalle, San Bartolomeo, legarono i loro nomi ai territori della Sila dove agirono, facendo rifiorire attività ascetiche e contribuendo notevolmente a mitigare la rudezza morale e materiale dei loro tempi; continuarono alle pendici della Sila, un movimento di operosità, di pietà e di fede, che umanizzò in certa misura, quei “secoli bui”. Molte delle grotte scavate alle pendici dei monti silani erano il ricovero degli asceti che le abitavano; le fitte pinete erano sicuri rifugi ai monaci che vi si ritiravano per vivere in solitudine d’anacoreta. I monasteri sparsi sul territorio silano erano centri di operosa attività. Il primo centro abitato, propriamente silano, ebbe origine monastica: fu San Giovanni in Fiore, fondato verso il 1180 da quell’abate Gioacchino di “spirito profetico dotato”. Qui egli iniziò la costruzione dell’abbazia che ancora oggi vi si ammira e mantenne unita la comunità che si era andata formando attorno al monastero. Malgrado questo fervore di vita religiosa che vi si svolgeva, l’altopiano continuò a restare isolato dal grande transito fino a non molti decenni addietro. I tanti che ne avevano sentito parlare se ne erano fatti un’idea attraverso i romanzi di Nicola Misasi o leggendo le gesta dei briganti, riportate dal Padula. E, per molto tempo, furono essi, i briganti, gli unici abitanti dei boschi silani. La foresta era il più sicuro rifugio per chi avesse motivo di fuggire: era vicina ai centri abitati, offriva mille nascondigli da cui si potevano impunemente lanciare le più gratuite sfide. Così, il brigante Marco Berardi, rivolto al vicerè Filippo II:
“Tu si lu vicerè’de chistu regnu ed io signu lu re della muntagna!”
Sono di questo periodo gli editti che vietavano l’usanza di incediare i boschi per reperire terreni agricoli; s’inizia, da parte del potere centrale, di alcuni ordini religiosi, e delle famiglie nobiliari a rivendicare la proprietà dei territori silani, spesso facendo risalire i pretesi diritti a donazioni risalenti all’epoca medioevale. Ai giorni nostri la penetrazione nella Sila é continuata con lo scopo di sfruttarne le risorse. Per ultimi gli Alleati che, nell’immediato dopoguerra, vi hanno tratto notevoli quantità di legname, facendo quasi perdere alla Sila il significato classico del nome romano di “Magna Silva” e , di quello ancora più antico di “Yla”, attribuitole dai sibariti che volevano dire “selva”, “bosco”, da cui il moderno “Gran bosco d’Italia”. E’con il 1947 che viene costituita l’Opera Valorizzazione Sila, l’ente che ha ricostruito il patrimonio boschivo, ha favorito gli insegnamenti umani, ha promosso attività economiche, turistiche, alberghiere; ha dato la spinta decisiva alla valorizzazione dell’altopiano che era già iniziata agli inizi del 1900 con la costruzione della ferrovia Cosenza – San Giovanni in Fiore ed era continuata con le prime iniziative private. Era il 1914 che l’ufficio postale di Camigliatello faceva orario dall’alba al tramonto, veniva incoraggiato il turismo di massa, si indicevano convegni, si stampavano i primi depliant sulla Sila, si dava inizio a quelle attività economiche e di promozione che hanno fatto della Sila quella che essa oggi é, aiutata dalle sue caratteristiche naturali ed anche dalla passione e dall’amore che molti, veri pioneri, ebbero verso i suoi panorami, i suoi silenzi, la sua poetica bellezza.
Itinerari della Sila Grande:Per chi proviene dal Nord ed utilizza l’autostrada per giungere fino a Cosenza, è d’obbligo una visita all’antica città dei Bruzi. Qui sono da visitarsi il gotico-cistercense duomo con un’opera di Luca Giordano e croce smaltata bizantina del XII secolo; il museo Civico, che conserva notevoli bronzi preistorici; il castello di origine normanna, da cui si gode la vista di tutta la città; la chiesa di S. Domenico; il centro storico, con la sua struttura medioevale.
A Cosenza s’imbocca la superstrada per Crotone per uscirne a Fago del Soldato da dove si ammira un vasto panorama, fino al Cecita. Risalendo, fino a Montescuro, si può percorrere la caratteristica strada delle Vette per giungere al Botte Donato, la più alta vetta della Sila (m. 1928). Da cui si ha il panorama di tutto l’altopiano. A 17 km., è Lorica, ridente località turistica sulle sponde dell’Arvo, fra boschi di fitti pini. Proseguendo per la 108 bis ed imboccando al bivio Garga, la superstrada, si arriva a San Giovanni in Fiore, il più popoloso centro silano, ricco d’arte e di storia, mercato di diffusione della locale produzione artigianale. Se si è interessati alla ricerca di pregevoli manufatti in oro o di capi di corredo, si può deviare fino a Castelsilano (a km 9). Da San Giovanni in Fiore, per la provinciale che porta a Germano, attraverso belle foreste di pini, si può proseguire per la Fossiata, il più integro e maestoso bosco della Sila, a 7 km. Dal lago Cecita. Ai margini della Sila Greca, a 43 km. dal lago Cecita è Longobucco, altro grosso centro silano, di antica origine, con produzione artigianale di tessuti e capi di corredo di notevole fattura. Ritornando indietro, attraverso Cava di Melis e costeggiando il lago Cecita, si può concludere l’itinerario a Camigliatello, centro climatico e turistico di primaria importanza (si consiglia di percorrere l’itinerario in almeno tre giorni, con soste a Lorica e a San Giovanni in Fiore).
Riserva Naturale Marina “Capo Rizzuto”
Mare cristallino, sabbia finissima color tiziano, scogliere scoscese e selvagge che si confondono con i colori cangianti del cielo: da questo paesaggio sembrano esalare i profumi di un tempo ed i ricordi della storia. Questo è ciò che l’Area Marina Protetta “Capo Rizzuto” offre al visitatore, un viaggio tra storia, leggenda, mito e archeologia, ma anche un percorso esclusivo attraverso un patrimonio naturalistico e biologico di notevole valore e preziosità.Istituita ufficialmente con D.M. del 27 dicembre 1991 e successivo D.M. del 19 febbraio 2002, ricopre una superficie di circa 14.721 ettari e si sviluppa su un territorio di ben 42 km di costa, coinvolgendo due comuni: Crotone ed Isola Capo Rizzuto.L’istituzione dell’area protetta consegue un duplice obiettivo: la preservazione di un tratto di costa unico dal punto di vista ambientale, contraddistinto per oltre 42 km da una lunga teoria di piccole insenature, e la tutela del vasto e ricco patrimonio archeologico, presente sui fondali marini.Sono soprattutto i fondali che rivelano le bellezze per le quali la riserva è un’oasi da proteggere e preservare. Essi sono caratterizzati da vaste praterie di Posidonia Oceanica, pianta marina, endemica del Mediterraneo, che ha un ruolo fondamentale nell’ecosistema.
Il mondo sommerso dell’Area Marina Protetta è caratterizzato da ciliate e secche, che scavate dal mare e dalle correnti, creano labirinti di cunicoli e anfratti ed offrono un perfetto rifugio a molte specie di animali marini.Al suo interno sono state individuate tre zone di Riserva Integrale, classificate come A e corrispondenti ai tratti di mare circostanti Capo Colonna e Capo Cimiti, e al tratto di mare antistante Capo Bianco, nelle quali è previsto un regime di tutela più rigido.
PARCO SCOLACIUM A ROCCELLETTA DI BORGIA: STORIA, ARCHITETTURA E CULTURA NELLA CITTÀ DI CASSIODORO.
Scolacium, città di Cassiodoro, detta anche Scylletium – Scylacium, Scolatium, Scyllaceum, Scalacium, o Scylaeium , Minervium e Colonia Minervia è un’antica città costiera del Bruzio. Ebbe una storia millenaria attraverso greci, brettii, romani, bizantini, saraceni e normanni. Le sue rovine si trovano sulla costa ionica nel Golfo di Squillace (CZ) a Roccelletta di Borgia, tracce della città si trovano anche nella località Santa Maria del Mare in Caminia di Stalettì, ed altre ancora nei quartieri Lido e Germaneto di Catanzaro. La cittadina di Squillace deve il suo nome attuale all’antica Scolacium. Oggi esiste un parco archeologico nel comune di Borgia, ormai completamente conurbato con i quartieri marinari di Catanzaro.
CROPANI CITTA’ D’ARTE
L’origine del nome di Cropani è indubbiamente di derivazione greca, e sì ritiene “un paese di origine greca”. Il P. Fiore lo fa derivare dal greco CROPOS. Anzi, in tempi anteriori, almeno sino alla fine del sec. XV, doveva, secondo lui, chiamarsi CEROPANI da ceropos: abbondanza di cera, perché lo scrittore cropanese, Arturo Lattanzio, che visse in quell´epoca, impresse nelle sue opere “Ceroponitano” , e altre volte “Cropamo”. Ciò che asserisce il P. Fiore il cambiamento del nome avvenne durante il periodo in cui visse il Lattanzio, perché solo in un´opera si firma “a Ceropano”, salvo ad un errore. Il cropanese Francesco Grano, contemporaneo al Lattanzio, e che scrisse pure lui della sua patria, non fa alcun cenno m merito alla questione agitata dal Fiore. Ne altri storici ne fanno parola. Anzi, nella famosa carta geografica cinquecentesca che si conserva nei Musei Vaticani, è scritto Cropani, anche la carta della Calabria utra di Giacomo Cataldi pubblicata nel 1500, dice: Cropant. In tutte le carte geografiche della Calabria del 1557, del 1512 e del 1594, confermano la stessa dicitura. Il nome “Cropani”, significa secondo la spiegazione di noti glottoiogi: terra grassa, fertile, fattoria, fondo. il che può benissimo spiegare il sorgere e l´avanzare di un agglomerato attorno alla Torre costruita per la protezione degli indigeni e dei passanti.